Il capitale umano
La scorsa settimana sono stato a Madrid per dare definitivamente addio al mondo accademico. Ecco com'è andata.
Lo so, lo so. Prima ce l’avevo con le canzoni, mo coi film (anche se ’sta volta il titolo non l’ho modificato), domani, chissà, sarà con qualche frase di Fabio Volo. Non ci posso fare niente, è più forte di me, un impulso irresistibile come la stevia nel caffè. Tra l’altro questa è una newsletter particolare, che parla di sentimenti, quindi se volete saltatela e ci rivediamo direttamente alla prossima. Pace e bene.
Leggi anche: Come essere un buon lettore (secondo Nabokov)
Se ricordate lo sfogo della scorsa settimana, avrete capito dove mi trovassi nei giorni precedenti. Ebbene sì, ero a Madrid, per dare definitivamente addio al mondo accademico. E vi dirò la verità, pensavo sarebbe stato più facile, e invece vuoi perché tendo naturalmente alla malinconia/nostalgia, vuoi perché tendo artificiosamente alla jamonería, fatto sta che quando martedì ho salutato tuttə sapendo che l’avrei fatto per l’ultima volta – «O ci rivediamo presto, non fare che poi sparisci», «ma te pare zi, contaci» (tutto questo in spagnolo) – ho sentito come una strana fitta salirmi al petto, mentre camminando fra le strade buie di Chueca verso l’hotel tentavo in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime che cominciavano a bruciarmi gl’occhi (si sa, gli uomini non piangono, come dice Robert Smith).
Ora non è mia intenzione ammorbarvi con la storia della mia vita. Vi basti sapere che il mio percorso di dottorato cominciò un paio d’anni dopo essermi laureato, non prima di aver tentato di fare, in ordine, il pompiere («basta, non voglio più studiare») e il viticoltore (passai un mese a vendemmiare in Côte d’Or. Bello, sicuramente. Bellissimo. Ma anche mai più – e in effetti, a ripensarci ora, avrei dovuto capire che qualcosa non andava quando dopo aver chiesto a uno sfinito collega francese come fossero le vigne quello mi rispose laconicamente: «basse»).
Optai per Madrid perché il percorso di studi da me scelto, l’archeologia e l’antropologia dei popoli precolombiani della Mesoamerica, difficilmente sarebbe stato possibile in Italia, a meno di non accettare un certo numero di compromessi che il me idealista del passato voleva evitare (due schiaffi, altro che idealista).
Da quell’infausto giorno sono passati oggi quasi sei anni, anni di difficoltà a volte insormontabili (burocratiche, il più delle volte), di ripensamenti, di ansie e depressione, di crisi esistenziali, di «publish or you’ll perish», di bandi truccati, di ranking fittizi, di baroni e raccomandati, di viaggi mai rimborsati, di titoli comprati, e tutta un’infinita serie di problematiche endemiche che si ripercuotono annualmente sulla scuola pubblica.
Però poi…
Però poi durante il percorso ci sono tante persone che mi hanno aiutato nonostante mi conoscessero a malapena, e che senza chiedere niente in cambio mi hanno teso una mano quando ne avevo più bisogno, girando una mail, fermandosi una mezz’ora in più, consigliandomi, offrendomi un passaggio, chiedendomi come stavo, facendomi sentire accolto in un Paese che non è il mio.
Si definisce capitale umano
l’insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo, acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o esperienza sul posto di lavoro e quindi non facilmente sostituibili in quanto intrinsecamente elaborate dal soggetto che le ha acquisite.
Eppure quando io penso a questa espressione mi immagino proprio loro, il mio capitale umano, trasferendo il significato dall’effetto alla causa, quelle persone senza le quali non ce l’avrei mai fatta e che costituiscono (loro, sì) una risorsa non quantificabile, un bene prezioso come le tagliatelle di nonna, che magari non saranno quelle della tradizione, ma sono le sue, uniche, che non riuscirai mai a replicare a meno che non te le insegni lei di persona.
E così a sera, ho salutato tuttə molto velocemente, un po’ ubriaco, un po’ a disagio, invidiando l’allegria negli occhi dei più giovanə, quell’entusiasmo che un tempo era il mio, ma contento in fondo, e convinto, di voler abbandonare un mondo che percepisco in modo tossico, almeno in alcuni suoi aspetti (molti). Però non posso negare che loro mi mancheranno e che mentre scrivo queste righe un po’ mi pento per essermene andato così di fretta, quasi di corsa, quasi fuggendo. Al momento, tutto ciò che mi rimane è un breve scambio sulla chat di WhatsApp, giusto poche parole col mio tutor di tesi (Suerte en tus proyectos / Gracias y también con los suyos). Ce ne sarebbero altre da dire, ma ora basta. Non vorrei correre il rischio di sconfessare Robert Smith.
Ti sei perso le ultime novità della newsletter?
Non c’è problema! Ti basta andare qui per trovare l’archivio con tutti i numeri usciti:
Alla fine ti rimarrà la soddisfazione e l'orgoglio di avercela fatta, nonostante tutto. E la gratitudine per il fatto che esistano ancora persone che ti aiutano solo per amicizia, senza chiedere nulla in cambio. La Spagna in questo è meravigliosa ❤️ un abrazo, querido!