Infotainment in fricassea
In uno dei suoi ultimi saggi intitolato "Infocrazia", Byung-chul Han decostruisce il moderno sistema d'informazione, alla faccia di misteriose ricette esotiche.
Scrivo questa newsletter in colpevole ritardo. Lo ammetto: settembre mi ha colto impreparato, sarà il cambio repentino di stagione, la nostalgia per gli aperitivi al Mucillagine, quell’amico che chiede serissimo guardandomi negl’occhi cosa facciamo a Capodanno, o chissà, magari l’odore di gatto misto a spezie che sale pungente dall’appartamento accanto, dove abita Eduardo, il mio dirimpettaio latinoamericano, inebriandomi le nari d’un odore vagamente affumicato.
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Che poi non è neanche haitiano (credo sia honduregno), però mi ha detto che è stato in America anni fa, quindi forse ci è passato davvero per Springfield (no, non quella dei Simpson, ma Springfield Ohio, nel Midwest, Franzen Francesco Costa e Lebron James). E allora no, quando è troppo… Ho pensato a quel povero malpelo che sta da mia nonna, e dopo aver stampato velocemente il regolamento dei NAS e la Convenzione Aja del ’61 (non si sa mai, fa scena) ho bussato tremebondo al vicino, pronto a difendermi da quel diavolo manco fossi Pierre Bon-Bon.
Suppongo che possiate immaginare quale sia stata la sorpresa quando, una volta entrato e accolto cordialmente, mi sono ritrovato a condividere montagne di baleadas ricolme di fagioli panna e formaggio, e quale invece la delusione – a fine serata, questa volta quasi spinto verso l’uscio – quando mi sono visto regalare un libricino di neanche 100 pagine dal titolo Infocrazia, scritto da un tale Byung-chul Han, e ricevere una calorosa pacca sulla spalla sulla quale ho avvertito anche un briciolo di commiserazione.
E così, dopo aver preso il più classico dei granchi, mi sono accasciato sconsolato sul divano, stracciando con rabbia il regolamento dei NAS (la convenzione l’ho tenuta, just in case). Quindi, ho guardato ancora una volta il video di Trumpy e prima di andare a dormire ho dato una scorsa veloce a quel libricino dalla copertina blu oltremare che mi era stato donato, sperando in questo modo di conciliare il sonno.
Infocrazia, infodemia, infotainment
Leggendo, ho scoperto che Byung-chul Han parte da un presupposto molto semplice: la digitalizzazione del mondo è ormai un processo inarrestabile, che ha portato notevoli distorsioni e rotture all’interno del processo democratico, trasformando di fatto la democrazia in un’infocrazia. La sfera del discorso pubblico sarebbe quindi minacciata dalla diffusione e riproduzione virali delle informazioni: minacciata, cioè, dall’infodemia.
Ma la caratteristica principale delle informazioni è quella di avere un ristretto margine d’attualità: manca loro stabilità temporale, in quanto vivono del “fascino della sorpresa”, frammentando la percezione: gettano la realtà in un “vortice permanente di attualità”, così che è impossibile soffermarsi sulle informazioni:
In una comunicazione affettiva s’impongono non gli argomenti migliori, bensì le informazioni dotate di maggiore potenziale d’eccitazione. È così che le fake news generano più attenzione dei dati di fatto. Un singolo tweet, che contenga fake news o un frammento d’informazione decontestualizzato, è potenzialmente più efficace di un argomento fondato.
Donald Trump frammenta in tweet la sua politica, che non è determinata da visioni ma da informazioni virali. L’infocrazia promuove l’azione strumentale, orientata al successo; l’opportunismo dilaga. […] Trump stesso agisce come un algoritmo perfettamente opportunistico, che si regola sulle reazioni del pubblico.
Paradossalmente anche le fake news sono prima di tutto informazioni. Esse hanno già esercitato il loro pieno effetto prima che abbia inizio un processo di verifica. Le informazioni sfrecciano davanti alla verità senza venir mai raggiunte. Il tentativo di combattere l’infodemia con la verità è perciò condannato al fallimento: l’infodemia è resistente alla verità.
Alla ricerca di un’identità
Ora, se il sistema infocratico fomenta certe dinamiche, rimangono tuttavia ancora irrisolti i perché. A che pro riempire i media digitali di informazioni virali, il più delle volte false e capziose?
Tutto comincia, secondo Byung-chul Han, dal costante senso di perdita di identità dovuto alla globalizzazione e la conseguente iperculturalizzazione della società, che finisce spesso per sciogliere i contesti culturali e i legami della tradizione. Di fronte a questo disorientamento la rete viene tribalizzata da determinati gruppi politici:
Le tribù digitali rendono possibile una forte esperienza identitaria e d’appartenenza: per esse le informazioni non rappresentano risorse di sapere bensì di identità. Le teorie del complotto sono particolarmente adatte alla costruzione in rete del biotopo tribale, perché consentono delimitazioni ed emarginazioni, che sono costitutive per il tribalismo e la sua politica identitaria. […] I collettivi tribali identitari respingono ogni discorso e dialogo. L’intesa non è più possibile. L’opinione che esprimono non è discorsiva ma sacra, poiché coincide interamente con la loro identità, alla quale è impossibile rinunciare.
… coincide con la loro identità, alla quale è impossibile rinunciare. Immerso nei miei pensieri, con le mani incrociate dietro la testa a guardare il bianco lattiginoso del soffitto, quasi non facevo a caso a un guaire sommesso, un latrato lamentoso che sembrava provenire da qualche parte all’interno del condominio. Non ci potevo credere, mi ero fatto intortare da Eduardo e dalle sue buone maniere. Ma stavolta non mi avrebbe fregato, ho ristampato il regolamento dei NAS, afferrato al volo la Convenzione Aja, e mi sono precipitato sul pianerottolo, pronto a dare battaglia.
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Ad esempio qui racconto l’esperienza di quando ho visitato la mostra TOLKIEN. Uomo, Professore, Autore, voluta dal ministro della Cultura Sangiuliano e promossa dal Governo Meloni;
Mentre qui parlo di danza, techno, e del potere terapeutico della musica, in dialogo con il nuovo libro di McKenzie Wark, Raving.
Gli odori della cucina honduregna sono inconfondibili, li ho avuti sotto il naso per un anno in un appartamento condiviso a Barcellona 😂😂 mi piace un sacco come hai inserito la recensione del libro dentro una storia inventata da te (o forse reale? 😅), è una trovata davvero geniale! Domanda: ma il libro accenna una soluzione al problema delle fake news o soltanto lo analizza? Un abbraccio!