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Devo dire, a me piacciono le storie vere. O meglio, mi affascina come un autore racconta una storia vera. Ad esempio mi ha molto affascinata Oppenheimer di Nolan. Trovo che il punto di vista che cambia tra autore e autore sia la parte dell'immaginazione che mi serve e l'appiglio con la realtà sia la parte che mi consente di crederci, nel senso di calarmi nella storia. Se so che è vera è come se fossi più dentro. Inventare storie che siano anche credibili come giustamente scrivi è molto più difficile, e credo sia anche molto più lungo. Sicuramente c'entrano le tempistiche assurde a cui ci siamo abituati per la fruizione di storie e di contenuti artistici in generale. Credo anche che le storie vere abbiano successo perché siamo circondati da finzione. Degli altri vediamo sempre più spesso la loro personalità filtrata da uno schermo, non sappiamo più se le notizie che leggiamo sono vere o fake, credere in qualcosa e credere negli altri è diventato difficile. Quando la tua realtà ti sembra una finzione magari hai voglia che qualcuno ti racconti una storia vera, finalmente. Anche se il pensiero che hai fatto sullo Strega l'ho fatto anche io, mi dispiace che stiamo perdendo la capacità di immaginare storie che non esistono.

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Ciao Francesca!

Grazie mille, hai fatto davvero un bellissimo commento, molto approfondito e calzante. Sai, avevo anche voglia di parlare di Oppenheimer perché è un film che definisce alla perfezione quello che volevo dire ma poi ho deciso di optare per Baby Reindeer perché più attuale.

Ad esempio io non l'ho apprezzato moltissimo proprio per questo motivo. O meglio non così tanto da giustificare 7 Oscar (ma alla fine degli Oscar anche sti cavoli). Non so, ho trovato che in questo caso la (ri)lettura cinematografica di Nolan non giustificasse la scelta del soggetto e della storia. Poi la sua cifra stilistica è ben presente come sempre: moltiplicazione e scomposizione dei vari piani temporali, effetti speciali pazzeschi, scrittura veloce e dinamica. Però alla fine la storia è quella e il film l'avevo immaginato proprio così.

Detto questo, sono d'accordissimo con tutto quello che dici, quasi che non ci sia più un confine netto tra realtà e fantasia. A me un po' fa paura, ma chissà… sarà che mi sto facendo vecio e i cambiamenti mi spaventano.

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Ti leggo ogni volta con piacere, Davide, divorando i tuoi pezzi – no, non è un riferimento alla Società della Neve, che tra l'altro non ho visto – trovandoci spunti interessanti di riflessione.

Relativamente all'esperimento di Nozick, "La macchina dell'esperienza", non sono sicuro che l'esito coinciderebbe con la scelta della realtà a scapito della simulazione – ma chi sono io per dire o non dire cosa? Si potrebbe pensare: "Non stiamo assistendo a una spinta della realtà simulata/virtuale da almeno dieci anni a questa parte?". Forse è più sottile di così: a me sembra di essere finito in una di quelle narrazioni regolate dal Realismo Magico, dove il sovrannaturale si incastra in un contesto tangibile. Credo che l'essere umano abbia superato la scelta tra l'esperienza reale e quella simulata in quanto elementi antitetici, passando allo stadio successivo. Allo stato attuale, a me pare che Matrix coincida con Zion.

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Ciao Mario, innanzitutto ti dico subito che la battuta iniziale mi ha colto alla sprovvista e che mi hai fatto ridere tantissimo.

Detto questo: che dire? Fai una riflessione molto bella e anche profonda che a me spaventa un po' perché… perché sì, anche io ho la stessa sensazione, e non sono sicuro sia per noi un bene. E il Metaverso è ancora lungi dal prendere piede!

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Personalmente, questo numero si annovera nella mia top 5 delle migliori newsletter mai lette (shout out to la frase: "si resta a casa, anche se l’unica alternativa è guardare Amici o qualche talk show ambientato in un futuro alternativo in cui Andreotti non si è mai svegliato e Paola Perego lo schiaffeggia a ripetizione in un loop senza fine ripetendo “Presidente? Presidente? Presidente?” - penso che ora la stampo e la attacco in ufficio e la riguardo quando sono giù di corda, un po' come le puntate di Boris con Mariano Giusti). Ti pongo però un altro spunto di riflessione sulla questione "storie vere". Quello che dici è sacrosanto, ma penso che una quota parte importante della volontà di rappresentare cinematograficamente storie vere sia dovuta all'attenzione mediatica che già anno. Per come funziona l'algoritmo oggi (anche qui - Boris docet) più un prodotto è rilevante, più attrae altra attenzione e rilevanza e si posizione in alto nei nostri feed (che spesso regolano anche quel che ci propongono le piattaforme in streaming). E' il motivo per cui si rappresentano storie vere, ma anche storie prese dai libri, storie spin-off di storie che hanno avuto successo e così via. Si cerca di riprodurre ciò che ha già un seguito, insomma. Tu dirai - hai scoperto l'acqua calda, il problema qui è un altro ovvero che abbiamo lobotomizzato la nostra capacità di astrazione dal reale. E anche qui, non posso che concordare!

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Ciao Maria Giulia! Grazie mille, sei troppo gentile :)

Eh no, non hai scoperto l'acqua calda, hai invece dato uno spunto super interessante che ora mi pento di non aver messo nella puntata, perché è un'osservazione molto pertinente. Vabbè mi consolo pensando che almeno è qui nei commenti suggerita da te.

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La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo la tua NL è questa: siamo bombardati da questo meccanismo perverso della comunicazione del vero: sui social, nelle NL, e adesso anche nei libri e nel cinema. Un meccanismo a cui probabilmente siamo talmente assuefatti da non poterne più fare a meno, sia come osservatori che come comunicatori (penso banalmente alla - finta - comunicazione che i Ferragnez hanno portato avanti e a quanto seguito ha avuto proprio in virtù del suo essere apparentemente “storia vera”).

È, forse, un bisogno che nasce dall’idea di essere sulla strada giusta: una strada che prova ad assecondare quella necessità di originalità, che è prioritaria per chi scrive, in qualunque campo, ma che poi si trasforma in una sorta di comunicazione persuasiva della realtà che, di fatto, si porta dietro non solo il morboso bisogno di sapere (e basta), quanto, soprattutto, quella banalità che si cerca di rifuggire.

Perché, a pensarci bene, una storia vera si porta dietro sempre un qualcosa di originale, avendo dalla sua parte una buona dose di unicità. Allo stesso tempo, però, diventa banale per il solo fatto che, ormai, fa parte di quel filone a cui tutti si aggrappano per essere originali senza, di fatto, esserlo più.

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Ciao Emanuela!

Grazie mille del bellissimo commento, devo dire che mi trovo d'accordo su tutto (anzi grazie per aver ampliato il tema della NL), specialmente sulla parte finale. Mi capita quasi sempre, quel senso di delusione quando scopro che un film che ho trovato interessante si basa in realtà su una storia vera, ai miei occhi perde appeal e mi lascia un po' così.

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Grazie a te per lo spunto 🙂

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Interessante. Io per esempio, per quanto riguarda la lettura, amo leggere proprio i memoir (penso a "L'anno del pensiero magico "di Didion o "La vita dopo" di Antrim) mentre faccio fatica a leggere romanzi di invenzione. Vorrei che ogni scrittore scrivesse di sé, prima ancora di scrivere d'altro. Per i film è diverso, direi che mi va bene un po' tutto e, se la sceneggiatura è ben scritta, non mi dà noia sapere già come va a finire. Tipo "Titanic": non solo quando comincia sai che affonderà, ma praticamente lo guardi proprio per vederlo affondare. Alla tua domanda "dov'è la meraviglia?" risponderei forse con "non nel sapere come va a finire la storia - si sa già - ma nel sapere come viene raccontata". E, in un certo senso, nel vedere qualcosa che è successo senza di noi.

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Ciao Eugenio!

Sono perfettamente d'accordo, anche se poi dipende sempre da come questa realtà viene raccontata, se pari pari senza inventiva o dando un rilettura che è il risultato di un'intensa metabolizzazione dei fatti stessi.

Oppure si può fare come Titanic, inserendo all'interno di una cornice vera una storia di fantasia, che è il vero motivo per cui amiamo il film.

Una curiosità: com'è che fai fatica a leggere romanzi d'invenzione?

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Vero quanto dici su Titanic, ed è un modo brillante di risolvere il problema di raccontare una storia già nota. Per rispondere alla tua domanda, invece: non so perché mi riesca difficile leggere romanzi di invenzione - da ragazzo leggevo di tutto -, è come se non venissi più agganciato da certi meccanismi narrativi e, dopo una quantità di libri interrotti, ho smesso di provarci. Il mio interesse è finito altrove e così sono sempre alla ricerca di libri insoliti, dove lo scrittore è molto presente o dove la storia è, se non assente, in secondo piano (un famoso esempio di magnifico libro insolito con storia assente: "Mai ci eravamo annoiati").

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Be', curioso e affascinante! Non conosco "Mai ci eravamo annoiati" ma leggendo la trama devo dire che mi ha incuriosito molto. Grazie del consiglio :)

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