Based on a true story
La proliferazione di storie basate su fatti realmente accaduti è un fenomeno sempre più frequente. Infine un'intervista andata male e un dilemma filosofico.
“E i miti, secondo lei, non esistono? Atlantide è più di un’isola, le dico, forse traffica male con la realtà, ma non con la verità.” (Ernesto Franco, Storie fantastiche di isole vere)
Giuro che non ne posso più. Ormai è un routine fissa, come la colazione coi pangoccioli del Conad (non sottovalutateli) o i mille esercizi sul tiro quando gioco a basket. Se devo andare al cinema devo sapere prima se il film che voglio vedere è tratto o no da una storia vera, perché in caso affermativo nein, kaputt, si resta a casa, anche se l’unica alternativa è guardare Amici o qualche talk show ambientato in un futuro alternativo in cui Andreotti non si è mai svegliato e Paola Perego lo schiaffeggia a ripetizione in un loop senza fine ripetendo “Presidente? Presidente? Presidente?”
Tipo l’altro giorno che eravamo sul divano a decidere cosa vedere su Netflix e un mio amico se ne esce così: “O zi te pija questo? La società della neve? Oscar come miglior film straniero”. Dico: “Aspetta un attimo”, e mentre fingo di andare in bagno prendo il cellulare e faccio un check-up completo cercando di scovare ogni informazione possibile, come quando vai dal medico per un raffreddore ed esci con ventisette ricette diverse su cui sono segnate cinquantatré tipi di analisi, tredici farmaci e nove visite specialistiche, il tutto perché tua madre ti ha messo ansia convincendoti che potresti avere la vitamina D bassa (fidatevi, controllatela, perché è quella).
Ecco, appunto. Mi è andata male anche stavolta: “La società della neve è il nuovo film drammatico di Netflix ispirato a una storia vera che tutti stanno aspettando” (ma tutti chi?).
Ma, dico io, perché dovrei guardare qualcosa di cui potrei leggere benissimo la trama su qualsiasi pagina di cronaca. Dov’è la meraviglia? La possibilità di essere sorpresi? Già so come andrà. Posso persino immaginare le singole inquadrature: i tipi partono in aereo, l’aereo cade in mezzo al nulla, i tipi si mangiano tra di loro (musica drammatica in sottofondo), è stato bello, ci siamo tanto amati, certo avessi avuto un po’ di sale e olio… fine.
Possibile che una storia, per risultare interessante, debba essere realmente accaduta? E non vale solo per il cinema, perché anche nella letteratura stiamo assistendo al tripudio incontestato dell’auto-fiction (basti vedere le dozzine degli ultimi Premio Strega). Non siamo davvero più capaci a immaginare? Che tutto sia ormai stato detto e raccontato?
L’argomento mi fa venire in mente una puntata dei Simpson (la 23x13, intitolata La figlia sorge ancora) in cui a un certo punto Bart e Milhouse decidono di svelare tutti i misteri della scuola, con il solo risultato di renderla noiosa e meno interessante.
L’abbondare di storie che si basano su fatti realmente accaduti è un problema vecchio, di cui discuteva ad esempio l’anno scorso Fabio Bacà in questo pezzo sul Post.
Un fenomeno che in questi giorni vediamo amplificato nell’isteria collettiva che si è generata sui social a seguito della riuscitissima serie tv Baby Reindeer. E non mi riferisco alla qualità artistica del prodotto, ma alla morbosità posticcia con cui migliaia di utenti hanno cercato di scoprire la vera identità della donna che perseguitò Richard Gadd (autore e protagonista principale della serie), come se poter accertare la veridicità della storia possa donargli effettivamente più appeal e riconoscimento.
Tanto s’è detto e tanto s’è fatto che alla fine il giornalista e presentatore britannico Piers Morgan ha intervistato sul suo canale YouTube Fiona Harvey, la donna che sostiene di essere la persona che perseguitò Gadd (che nella serie si chiama Martha ed è interpretata da Jessica Gunning). Harvey ha poi detto che la decisione di farsi intervistare è stata presa a causa delle centinaia di minacce ricevute da vari utenti sui social.
Al di là di come andrà a finire questa vicenda, trovo certi risvolti abbastanza preoccupanti. Sicuramente, la diffusione di soggetti basati su storie vere ci dice qualcosa a proposito della difficoltà di produrre storie originali e coinvolgenti (e sulle conseguenti paure verso l’IA, ChatGPT, ecc.), ma credo anche su una certa pigrizia immaginativa di noi spettatori, come se poter fruire di una storia già bell’e pronta, di quelle succulente in cui come si dice la realtà supera la fantasia, sia più appagante semplicemente perché più facile.
Un dilemma simile fu analizzato nel 1974 dal filosofo statunitense Robert Nozick in uno dei suoi libri più famosi e influenti: Anarchia, stato e utopia. Nozick propose una specie di esperimento mentale intitolato la “macchina dell’esperienza” (ma che potremmo anche chiamare “Esperimento Cypher”, dall’omonimo personaggio di Matrix), in cui per sostenere che la realtà, piacevole o meno che sia, ha per gli esseri umani un valore intrinseco, si poneva la seguente domanda: se potessimo scegliere tra vivere un’esperienza artificiale, simulata ma piacevole, e la realtà, cosa sceglieremmo?
Spoiler: Nozick era convinto che la maggior parte delle persone preferirebbe comunque la realtà.
Sarà… Io da parte mia continuo a non essere convinto (ma fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate). In ogni caso mi sto dilungando troppo e non vorrei sforare i fatidici 5 minuti di lettura. Stasera poi non ho voglia di uscire, al cinema non c’è niente che mi interessi e comunque ho già preparato i pop-corn. Pare che in tv ci sia una puntata speciale di Amici in cui Paola Perego canterà in duetto con Lorella Cuccarini il famoso brano True degli Spandau Ballet mentre un futuristico ologramma di Andreotti giudicherà la performance.
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Devo dire, a me piacciono le storie vere. O meglio, mi affascina come un autore racconta una storia vera. Ad esempio mi ha molto affascinata Oppenheimer di Nolan. Trovo che il punto di vista che cambia tra autore e autore sia la parte dell'immaginazione che mi serve e l'appiglio con la realtà sia la parte che mi consente di crederci, nel senso di calarmi nella storia. Se so che è vera è come se fossi più dentro. Inventare storie che siano anche credibili come giustamente scrivi è molto più difficile, e credo sia anche molto più lungo. Sicuramente c'entrano le tempistiche assurde a cui ci siamo abituati per la fruizione di storie e di contenuti artistici in generale. Credo anche che le storie vere abbiano successo perché siamo circondati da finzione. Degli altri vediamo sempre più spesso la loro personalità filtrata da uno schermo, non sappiamo più se le notizie che leggiamo sono vere o fake, credere in qualcosa e credere negli altri è diventato difficile. Quando la tua realtà ti sembra una finzione magari hai voglia che qualcuno ti racconti una storia vera, finalmente. Anche se il pensiero che hai fatto sullo Strega l'ho fatto anche io, mi dispiace che stiamo perdendo la capacità di immaginare storie che non esistono.
Ti leggo ogni volta con piacere, Davide, divorando i tuoi pezzi – no, non è un riferimento alla Società della Neve, che tra l'altro non ho visto – trovandoci spunti interessanti di riflessione.
Relativamente all'esperimento di Nozick, "La macchina dell'esperienza", non sono sicuro che l'esito coinciderebbe con la scelta della realtà a scapito della simulazione – ma chi sono io per dire o non dire cosa? Si potrebbe pensare: "Non stiamo assistendo a una spinta della realtà simulata/virtuale da almeno dieci anni a questa parte?". Forse è più sottile di così: a me sembra di essere finito in una di quelle narrazioni regolate dal Realismo Magico, dove il sovrannaturale si incastra in un contesto tangibile. Credo che l'essere umano abbia superato la scelta tra l'esperienza reale e quella simulata in quanto elementi antitetici, passando allo stadio successivo. Allo stato attuale, a me pare che Matrix coincida con Zion.