Sulla perfezione
un modo facile per affollare i reparti psichiatrici che si occupano di DOC
Chi mi frequenta lo saprà già. Ma dato che ho intenzione di ampliare un po’ la platea di pubblico voglio ripeterlo anche per chi non mi conosce affatto. Mi piace il basket (Oh Lord knows if I like gorgheggio senza rendermene conto muovendo drammaticamente la mano alla Nick Carter dei BSB). Ma tipo nel senso che mi piace giocare un casino. Quasi che posso dire di vivere solo ed esclusivamente per sentire il rumore della palla che entra nella retina del canestro e fa ciaffffffffff. Così suadente, appena appena accennato, come un sospiro. Ciaffffffffff.
Che poi penserete voi vabbè finisce qua, la palla entra nel canestro fa ciaffffffffff (ok la smetto giuro) e fine della storia, tutti contenti. ENNNO! Magari fosse così facile. Perché esistono diversi tipi di ciaf, ognuno dei quali stabilisce automaticamente qualità e pregio di ciascun tiratore.
C’è infatti il ciaf sporco, quando la palla oltre alla retina tocca anche un po’ il cerchio di ferro che la tiene; il ciaf ok, quando il tiro è eseguito più o meno correttamente ma la palla entra con poca parabola restituendo un suono solo passabile; e poi c’è il ciaf perfetto, dal suono intenso, l’energia magica che disseta le anime di noi giocatori anelanti. È ciò che ricerchiamo continuamente, quando la palla cade dall’alto come manna dal cielo, verticale come il dito di Dio, carica di promesse e aspettative, precisa nella retina che a malapena si muove. Ciaf.
Quest’ultimo tiro è poi quello che fa di un giocatore a real shooter (leggi ei rial sciutar), appellativo fondamentale nell’ambiente ghetto del playground, equiparabile pressappoco a un titolo nobiliare medievale o a quelli più cool di Game of Thrones, tipo i Tyrell Difensori delle Terre Basse e Marescialli dell’Altopiano.
Non c’è niente, e dico niente, di più umiliante di un difensore che ti marca a un metro di distanza perché non ti ritiene capace di segnare da lontano.
Ma basta con i preamboli. Passiamo a me, che mi ritengo un tiratore accettabile. Un buon tiratore. A rythm shooter come si dice in gergo. Non a pure shooter, ossia ciò che aspiro a diventare (a 34 anni zi? Annamo bene. O non me dovete rompe porco dena!). In poche parole, a rythm shooter è quel tiratore che quando ne mette un paio immediatamente si scalda ed “entra in ritmo” per non sbagliare più: una macchina, automatico. Basta però che il gioco sia un minimo spezzettato che segnare diventa più difficile e arriva un mattone dopo l’altro1. Al contrario, un tiratore puro segna ovunque e comunque, al di là delle varie condizioni e condizionamenti.
Il punto qui, cioè quello che voglio condividere, è raccontare la personale esperienza di come ho fatto a migliorare il tiro e qual è la strada che mi prefiggo per giungere alla perfezione e fare il tanto agognato upgrade di livello. Da Hanamichi Sakuragi a Hisashi Mitsui (se avete colto la reference vi abbraccio piangendo 😭), o da Mariano Apicella a Marco Mengoni per intenderci, utilizzando una similitudine canora.
Già, perché credo che tirare nel basket sia una specie di disciplina zen, tipo che se la pratichi assiduamente ti permette di interrompere il ciclo del samsara e raggiungere il nirvana. È la ripetizione assidua di minuscoli gesti e movimenti impossibili da evitare se si vuole fare canestro. Facciamo un esempio facile. Prendiamo il calcio che conosciamo un po’ tutti. Una porta regolamentare misura 7,32x2,44 metri. È una vasca da bagno parliamoci chiaro, e di quelle principesche. Non è necessario fare un tiro perfetto per segnare, anzi! Capita spesso di svirgolare la palla e segnare comunque.
Ecco nel basket questo non accade, o la meccanica di tiro è eseguita ad arte o non solo non potrai segnare, ma neanche ascoltare il tanto sospirato ciaf della retina. Tanto che c’è un famoso modo di dire che recita laconico: Ball don’t lie (alla Bob Dylan praticamente). La palla non mente. O sei perfetto o non segni.
E così ho passato i giorni. Arrivavo al campo trafelato, vestito di stracci e cominciavo ad allenarmi. Mi piazzavo esattamente sotto il canestro, a pochi centimetri di distanza dal ferro e cominciavo a tirare, finché non segnavo dieci volte di fila. Piedi paralleli, ginocchia piegate, belle molleggianti, busto perfettamente dritto, gomito destro che si muove come quei trabucchi di Age of Empires (II ovviamente, famo i seri), mentre la sinistra serve solo da appoggio.
Poi facevo un passo indietro e ricominciavo. Di nuovo, dieci canestri di fila. Senza sbagliare. Arrivavo alla linea del tiro libero e ancora, altri dieci canestri. Poi ancora un passo indietro e così via finché non arrivavo alla linea da tre. E lì erano e sono ancora cazzi veri (spoiler: non ce l’ho mai fatta). C’è chi potrebbe dire che più che una cosa zen sembra una roba da DOC. E credo non avrebbe tutti i torti in effetti. Soprattutto se si pensa che non è finita qua. Perché quando mai ti capita in partita che puoi stare tranquillo a tirare senza nessuna pressione addosso? Mai, e quindi c’è anche tutto un momento in cui si provano varie situazioni di gioco più o meno realistiche che qui è meglio tralasciare.
Non so per quanto tempo e quante volte ho ripetuto questo allenamento che a oggi è diventato una vera e propria specie di routine. Ma vi assicuro che ormai è un’ossessione, che mi ha reso completamente dipendente da quel suono (ciaf) che inseguo senza sosta, bramandolo come fosse la cosa più preziosa al mondo.
E allora capita che a volte mi ritrovi a chiedermi: che cos’è la perfezione? È qualcosa di realmente raggiungibile? O è piuttosto un’utopia? Chissà, forse la vera perfezione non esiste, forse è soltanto un concetto astratto, attribuibile alla divinità o comunque a esseri soprannaturali. Eppure, credo che nonostante tutto l’idea stessa di perfezione sia necessaria, perché è grazie a questa se spesso cerchiamo di spingerci oltre i nostri limiti, anche se poi non riusciamo effettivamente a farlo. Ma il semplice fatto che l’idea esista ci motiva, ci sprona imperterriti, come fossimo i personaggi di un romanzo di Goethe o Foscolo, o eroi romantici destinati a fallire in partenza. E in fondo non è questo ciò che è veramente importante? Abbandonarsi a un’idea senza sapere se porterà i suoi frutti, andare avanti oltre le difficoltà fiduciosi del fatto che prima o poi i risultati arriveranno?
Ecco, per oggi è tutto. Fatemi sapere se vi sono mai capitate esperienze simili, sarei felice di ascoltarle e sapere di non essere solo. Prima di salutarvi vi lascio con un video ASMR da ascoltare prima di andare a dormire, sperando vi restituisca le stesse sensazioni che dà a me. In ogni caso, ci vediamo domani al campetto!
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Aspettavo una puntata sul basket!
Secondo me - anche io appassionata di basket ma tiratrice quantomeno scarsa, per farmi un complimento - la perfezione del tiro è il tuo modo imperfetto di tirare che però funziona (vedi alla voce: Milos Teodosic e Marco Belinelli, ma questo tradisce tante cose della mia fede cestistica). Bellissimo numero comunque <3 mi ha fatto venire voglia di andare a tirare!