Buoni spropositi (o il paradosso dell'opossum)
Un dimenticato biglietto trovato per caso nel portafogli è stata l'occasione per fare un primo (amaro) bilancio di questo 2025.
L’altro giorno, mentre ero alla cassa del Conad per pagare le puntarelle e le alici da fare a cena – impegnato nel frattempo a non farmi inculare dal cliente alle mie spalle – cliente a cui evidentemente dovevo stare molto simpatico se ci teneva così tanto da farmi sentire il suo dolce fiato eau de Vieille Romagne sull’elice dell’orecchio sinistro –, mi è capitato di tirare fuori, appiccicato a una banconota da 10, un vecchio bigliettino di carta, arancione ai lati bianco all’interno, che recava sul davanti il logo di un biciclo e sul retro un numero di telefono, un indirizzo, e una breve frase di Einstein:
La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti
Ora io non so se ’sta cacata l’abbia detta veramente il divino Alberto o il Divino Otelma, so però che quel bigliettino è del negozio di biciclette che sta a un paio di isolati da casa mia, all’angolo fra una pasticceria e un laboratorio di radiologia (coincidenze? non credo), e chissà da quanto tempo doveva trovarsi lì, nel mio portafogli, a fare compagnia a un paio di ramini, un oki (“non si sa mai” cit. mamma), e alla ricetta delle analisi del sangue che è ormai scaduta da settimane ma che ancora non mi decido a buttare (mi serve da reminder – inutilmente).
Ma nell’ansia che segue l’arrivo del nuovo anno questa breve frase ha continuato non so perché a rigirarsi nella mia testa, giocando a ping pong con i vari lobi del cervello in cerca di una casa, di un piccolo spazio nel quale accucciarsi al caldo e magari bere un tè, spizzicare un pasticcino in attesa di essere metabolizzata e messa finalmente in pratica dopo anni di oblio. E invece no. Quest’anno nada. Nein. Kaput. Auf Wiedersehen. Bye bye. Au revoir. Merci beaucoup. Ho deciso di adottare un’antica e inimitabile tecnica. E quindi ciao ciao Davide. Da oggi: Je suis Opossùm.
Una decisione – chissà – forse favorita dagli eventi degli ultimi tempi, tempi in cui la mia fiducia nel genere umano ha raggiunto minimi storici, specialmente dopo che l’altro giorno un ragazzo sulla ventina mi si è avvicinato chiedendomi quanto costava un certo libro il quale, come tutti i cazzo di libri che esistono sulla faccia della terra, aveva stampato il prezzo sulla quarta, ben visibile e in basso a sinistra, cosa che potrebbe effettivamente spiegare il mio sorriso sardonico dopo il suo euforico “Grazie” pronunciato con la stessa enfasi che mi aspetterei qualora cancellassero Dritto e rovescio dalla tv nazionale.
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E così per un di tempo la mia routine è stata sempre la stessa. Una parca cena consumata a lume di neon e condita con l’unica cosa che al momento mi dà speranza: un video, girato al festival di Glastonbury del 2023, in cui alcuni fan aiutano a cantare Lewis Capaldi colpito da un attacco di Tourette e che ogni volta mi spezza il cuore ma perlomeno mi aiuta ad andare avanti (scusate ho trovato solo ’sto video con ’sta scritta cringe).
E pur tuttavia di andare in bicicletta (una bicicletta metaforica, naturalmente) non se ne parla. Nessun movimento, nessun equilibrio, nessun andare avanti. Niente. Di. Niente. Giacché il mio buon (s)proposito per il nuovo anno è imitare quanto letto in un articolo del National Geographic mentre ero sulla tazza del cesso a fare quello che facciamo tutti: meditare sulla propria vita:
Scientificamente conosciuta con il nome di “tanatosi”, o immobilità tonica, fingersi morti è una strategia difensiva messa in atto in tutto il regno animale, dagli uccelli ai mammiferi fino ai pesci. Forse, il più famoso “attore” in tal senso è l’opossum della Virginia diffuso nell’America del Nord. Questo apre la bocca, tira fuori la lingua, svuota le viscere e secerne fluidi maleodoranti per far credere a eventuali predatori che l’ora del decesso è ormai passata da tempo.
E così, folgorato sulla tazza del mio Pozzi-Ginori, ho deciso di applicare questo principio già dai primi giorni del 2025, tipo l’altra sera che mi ha chiamato F. propinandomi la solita serata a carte a base di distillati e gente assurda che non conosco e che non voglio conoscere. Rimpiango solo non abbia potuto vedermi (intendo F.), perché secondo me la performance non era niente male. Comunque la telefonata è andata più o meno così:
- Allora zio, che dici? Sei dei nostri? Oggi facciamo il panico calcola! - ... - O Da? - ... - Da? - ... - Davideee?!?! Vabbè vaffanculo va, cia’!
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Ad esempio qui ti racconto com’è stato lavorare per un certo tempo in una grande libreria;
mentre qui c’è una riflessione sul corpo, un abito a volte troppo stretto a volte troppo ampio con cui dobbiamo continuamente confrontarci, che muta pelle in continuazione, che soffre, che gode, che si rilassa e si tende, si ferisce si rompe si spezza e, se va bene, si rimette a posto.
Ogni volta che rivedo il video dei fan che aiutano Lewis Capaldi cantando, mi vengono i brividi e riacquisto fiducia nell'umanità. Grazie, Davide.
Ah, se c'è ancora posto, mi aggiungo al gruppo opossum pure io!
Mi fingo morta dacché ho l'età della ragione (pochi anni, dunque)