L'ultima città
Ho visitato la casa d'infanzia di Calvino. E ci ho trovato un foglio sparso con una dedica e un'ultima città invisibile.
L’altro giorno sono passato per Sanremo. E colpito dai viali floreali tutti garofani e rose, e orchidee e crisantemi, violaciocche e ranuncoli, così simili ai boulevard parigini, o alle odorose straten di Utrecht verso l’Oudegracht quando la primavera incontra la brezza della sera, perso, dicevo, fra quelle viette che ricordano i carruggi genovesi e che precipitano al mare assecondando la forma della città, mi sono ritrovato per caso a visitare la bellissima Villa Meridiana, la casa dove il piccolo Calvino passò la sua infanzia a giocare fra piante esotiche d’ogni tipo, fra le edere incolte che partendo dalla balaustra d’ingresso s’arrampicano fino al loggiato del piano nobile quasi a sparire – misteriosamente fagocitate per chi guarda dal basso – nel buio della casa.
Seguivo rapito la guida, che con passo sicuro e microfono stile Justin ai tempi degli ’N Sync si muoveva agile come un ballerino del Bolshoi, mai pago di ascoltare i nostri «ohhh» di meraviglia ogniqualvolta ci indicasse un angolo nuovo della casa: «qui è dove il piccolo Italo dormiva», «qui dove desinava sempre puntuale senza mai saltare un pasto… a meno che non fossero lumache, ovviamente» (aggiungeva rapido facendoci sbellicare), «questo invece è il bidet dove si lavava il pisellino».
Da parte mia ascoltavo a malapena, impegnato com’ero a guardarmi attorno, girovagando con gli stessi occhi estasiati di Belle quando la Bestia gli mostra orgoglioso la sua biblioteca. Non me ne accorsi subito, ma dopo un po’ mi avvidi di aver perso il resto del gruppo, anche se sforzandomi potevo ancora sentire il filo di voce saturo di blandizie della guida allontanarsi rapido verso l’interno della casa («sì proprio così signora, il suo canapè per-so-na-le»).
Mi ritrovai in quello che sembrava a tutti gli effetti un boudoir, una stanza appartata che un tempo doveva essere servita da piccolo rifugio, o almeno così mi sembrava di evincere dalla comoda ottomana damascata cinabro e oro e dai due cuscini in seta del medesimo colore poggiati sopra. Quando afferrai da una delle pareti un libro a caso – ma è veramente possibile parlare di caso in certi momenti? – un foglio bianco A4 ripiegato a metà scivolò svolazzando da una delle pagine, andando a planare proprio in mezzo ai miei piedi.
C’era una breve dedica in francese – à mon petit bijou, pour qu’elle grandisse – e un altrettanto breve testo – palesatosi ai miei occhi una volta aperto il foglio – che faceva così:
“C’è un’ultima città di cui non ti ho parlato, magnanimo Kublai, che è summa e sublimazione delle precedenti, e prego questo silenzio non essere da te stimato per volontà d’inganno. Però che se qualcosa è da temere il tuo biasimo, altro non è il freno che premuto pel dorso sente la lingua muta, il quale è sì da ricusarsi per sua ritrosia. E dirotti il perché. Ché come a Cassandra fu spiacevole annunciare il vero, così io temo parlarti di una città che non tuttora esiste (ma è un destino), se non nella mente di quegli uomini che un giorno la progetteranno, illudendo le genti che a lei s’affollano in speranza d’un tozzo di pane. Questa città sarà chiamata Chrémata:
E avrà di larghe cinta tutto sparso il nucleo, per tener ben fuori chi non la merita. E leggi all’apparenza giuste, ma per le quali ottener ragione sarà fatica di un Teseo (quando disperato fuggì dall’inganno di Minosse) nonché onere di un Creso. E per le stesse leggi sarà pronta a far guerra, esportando il suo modello sovra altre cittade da lei – a sua sola e unica discrezione – considerate men degne, o colpevoli di non condividere la sua perfetta perfezione.
Chi entra a Chrémata rimarrà accecato dal luccichio delle vetrine, che si susseguono senza fine come specchi rivolti l’uno contro l’altro. Ogni cosa avrà un prezzo inciso su una targhetta dorata: i vestiti, le parole, le strette di mano, persino gli sguardi. A Chrémata non si costruiranno case ma rendite. Le strade non porteranno a una piazza, ma a un centro commerciale. Il valore delle persone sarà misurato dalla velocità con cui riescono a svendersi. Chi resterà indietro sparirà: non muore, non si ribella, semplicemente smetterà di essere contato. Gli abitanti di Chrémata si sorrideranno dietro maschere d’oro, dimenticando cosa significhi dire “nostro” senza una clausola in piccolo.”
Poche ore più tardi, passeggiavo assorto verso il lungomare, le mani annodate dietro la schiena, affondando i piedi nella rena tiepida del pomeriggio. Quando dopo un po’ ho alzato la testa, non ho potuto fare a meno di notare un grande cartello, una scritta bianca su un ampio fondo verde bottiglia. Diceva:
“Spiaggia Italo Calvino”.
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Bellissimo.
Un abitante di Chrémata.
Puntata stupenda, che posto agghiacciante Chrémata!