Senza fretta (o metalinguistica degli Ent)
In questo mondo che va a velocità supersonica è sempre più difficile adoperare un linguaggio verbale adeguato. Per fortuna ho trovato il metodo giusto.
Come mi capita sempre più di rado (fortunatamente, aggiungerei), l’altro giorno ero impegnato nella patetica visione dell’ennesimo talk in cui il conduttore di turno incalza senza sosta e a ritmo forsennato un ancor più patetico interlocutore, il quale – la camicia inamidata madida di sudore, le gote ormai ridotte a due mele rubens andate a male – tenta disperatamente di infilare due concetti in fila rincorrendo allo stesso tempo un’esposizione linguistica adeguata, o perlomeno comprensibile.
Questioni televisive, mi si potrebbe dire. Ma attenzione.
Ascoltavo l’altro giorno Amare parole, il podcast sul linguaggio e i suoi cambiamenti condotto da Vera Gheno per il Post. Senza entrare nel merito dell’ultimo episodio, sono rimasto affascinato quando si è parlato a un certo punto delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica redatte da Tullio De Mauro nel 1975, la prima delle quali recita così:
Il linguaggio verbale è di fondamentale importanza nella vita sociale e individuale perché, grazie alla padronanza sia ricettiva (capacità di capire) sia produttiva di parole e fraseggio, possiamo intendere gli altri e farci intendere (usi comunicativi); ordinare e sottoporre ad analisi l’esperienza (usi euristici e cognitivi); intervenire a trasformare l’esperienza stessa (usi emotivi, argomentativi, ecc.).
È qualcosa a cui ho pensato spesso ultimamente, constatando con crescente amarezza quanto il mio “linguaggio verbale” stia impoverendo, specialmente perché non lo pratico e quando lo faccio lo faccio un po’ con il pilota automatico, quasi con fatica, mangiandomi e masticando le parole, più impegnato a farmi capire che a far capire bene, e ancora non facendo caso alle parole che dico, non utilizzando quelle più corrette, più pregnanti, incisive, ma accontentandomi delle prime che trovo.
Faccio un breve salto indietro nel tempo e ricordo un giorno di alcuni anni fa, quando durante un master che stavo frequentando seguii una lezione di Giorgio Vasta. Potete immaginare l’emozione della classe. L’ansia e la curiosità di trovarsi di fronte a uno dei più grandi scrittori italiani contemporanei. Ricordo anche che quel giorno ci aveva assegnato un compito (orale) e che si era particolarmente raccomandato di adottare un’esposizione adeguata, misurata e precisa, gettandoci nel panico più totale.
In effetti, l’idea per cui il modo in cui ci esprimiamo modifica e influenza il nostro modo di pensare non dovrebbe sorprenderci più di tanto. La lingua che parliamo modella il nostro cervello, lo scolpisce, è responsabile delle sue modanature, delle boiserie alle pareti, dei suoi più insignificanti capricci architettonici. Ci sono lingue che hanno parole specifiche per concetti che altre non riescono a esprimere facilmente, e questo può cambiare il modo in cui una persona percepisce certe esperienze o situazioni.
Ma ritorniamo al punto di partenza. A quel patetico ospite che cercava in tutti i modi di mettere in fila due parole di senso compiuto e a me, che è ormai un miracolo se riesco a farmi capire da mia madre. Di fronte a questo vulnus ermeneutico, l’unica soluzione che mi è venuta in mente è stata quella di utilizzare il cosiddetto metodo Barbalbero, quel grande essere che nel Signore degli anelli a una certa salva due degli Hobbit protagonisti da alcuni orchi che se li vogliono mangiare. Ebbene, ci dice Tolky che tra le varie caratteristiche peculiari degli Ent c’è quella di parlare lentamente. Molto, molto lentamente:
Anzitutto ci vorrebbe tanto tempo […] I nomi veri narrano la storia delle cose cui appartengono nella mia lingua, l’Entiano Antico, diciamo così. È una bella lingua, ma per dire una qualsiasi cosa s’impiega tanto di quel tempo perché, se non vale la pena impiegare tanto tempo per dire, e ascoltare, una qualsiasi cosa, noi non la diciamo.
Ecco, allora ho pensato che forse così, forse, se solo rallentassi un attimo e non mi lasciassi prendere ogni volta dalla fretta, dall’ansia di dire e giudicare, se riflettessi anche un solo secondo in più prima di parlare, se insomma facessi come gli Ent e adoperassi una lingua “senza fretta”, beh allora, chissà…
L’importante è non lasciare che la televisione modelli il tuo modo di parlare.
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