Assurdo (dis)funzionale
Un editoriale di Luca Sofri sul valore delle opinioni. Poi un vocabolario del '96, l'anniversario della morte di Kafka e un encomio sul "leggere brado".
«Venga con me», disse K., «mi indichi la strada, ce ne sono tante qui» (Franz Kafka, Il processo)
Nell’ultimo editoriale pubblicato su Wittgenstein.it e intitolato “Da che parte stare su da che parte stare”, Luca Sofri prende spunto dal recente caso di rimpatrio di Chico Forti per discutere di una tendenza sempre più presente nel dibattito pubblico italiano, quella di schierarsi su un tema divisivo aprioristicamente, più per slogan che per identità politica:
[…] ormai l’identitarismo partigiano e curvaiolo non solo prevale sui contenuti e sulle idee, ma prescinde dai contenuti e dalle idee. Basta che qualcuno prenda una posizione qualunque e tutti quanti si ridispongono automaticamente, per stare da una parte o dall’altra: in ossequio alla sventata retorica dello “scegliere da che parte stare” eccetera. In ossequio allo scegliersi i nemici – farseli scegliere da qualcun altro – e pensare di conseguenza (e votare di conseguenza).
Ne avevo parlato in una newsletter precedente, suggerendo come per formarsi un’opinione non fosse sufficiente seguire gli sterili talk show che inondano a tutte le ore le televisioni, ma informarsi il più possibile per ricostruire contesti e nessi causali (lo so, sembra banale, ma non lo è). Una lezione appresa a mie spese dopo duri anni di dottorato, in cui anch’io nel mio piccolo ho cercato di sfidare le mie ansie e proporre un’idea originale.
Leggi anche: Come si forma un’opinione?
Che poi alla fine il dottorato l’ho preso veramente, anche se devo dire che le cose non sono andate proprio come avevo previsto. Non che mi vedessi già su uno yatch a Porto Cervo a condividere ostriche e champagne con Briatore, ma di certo non mi aspettavo che una volta tornato in Italia dalla Spagna il mio livello di stress si sarebbe addirittura moltiplicato rispetto allo standard, che al momento è settato in modalità personaggio anime giapponese.
A quanto pare per il MUR: “I titoli accademici di studio stranieri non hanno valore legale in Italia”. E pertanto “qualora debbano essere utilizzati nel nostro paese in vari ambiti, è necessario chiederne il riconoscimento”.
Oh lasso! In poche parole è più facile che mi vediate effettivamente fare cin cin da qualche parte con Briatore piuttosto che mostrare orgoglioso la pergamena a nonna chiedendole come ricompensa il mio piatto preferito (ovviamente la parmigiana di melanzane, non scherziamo).
Ma chi mi conosce lo sa, non sono il tipo che si perde d’animo. Mi sono armato di pazienza e vocabolario, e inoltrato in punta di piedi nel ginepraio della burocrazia italiana aiutato da diversi alcolici a base di ginepro e dall’odore discreto del ginestreto qui di fronte (grazie Zingarelli ’96, 12° edizione).
Scherzi a parte giuro che su questo punto a livello europeo siamo veramente in alto mare, ma della serie che se m’affaccio alla finestra vedo Geppetto in groppa alla balena che mi sorride con i pollici all’insù. Tra trattati internazionali (Processo di Bologna del 1999 e Convenzione Aia del 1961), traduzioni (esclusivamente) giurate, apostille, buste preaffrancate (che non sono buste), dichiarazioni di valore, attestati di comparabilità e verifica, e le immancabili tasse, mi sono sentito come Joseph K. quando tenta di capire in tutti i modi per cosa diavolo sia imputato.
E in effetti tutta questa situazione mi ha veramente ricordato da vicino Kafka e le atmosfere surreali dei suoi scritti. A proposito, quest’anno fanno cent’anni dalla sua morte (1924) e come potete immaginare anche in Italia non abbiamo mancato di omaggiarlo con tutta una serie di libri, articoli, eventi.
Devo dire che anch’io, preso dal medesimo furore nostalgico, ho tirato fuori dalla libreria il mio Kafka per rileggere uno dei miei racconti preferiti, Un medico condotto, pubblicato per la prima volta da Kurt Wolff nel 1919 e incentrato sull’alienazione psicologica di un inconsapevole medico di campagna.
Delle tante cose scritte, Un medico condotto era uno dei pochi testi a cui Kafka era realmente affezionato, reputandolo degno di una minima attenzione. Ad esempio, nelle lettere scambiate con l’amico di una vita Max Brod scriveva:
Fra tutto ciò che ho scritto hanno validità solo i libri: Verdetto, Fuochista, Metamorfosi, Colonia penale, Medico condotto e il racconto Un digiunatore. […] Invece, tutto quello che, scritto da me, ancora esiste (pubblicazione in riviste, manoscritti o lettere), senza eccezione […], tutto questo, preferibilmente senza essere letto […] va bruciato; a te chiedo di farlo il più presto possibile.1
Proprio come molti altri racconti di Kafka, anche Un medico condotto è un testo di difficile interpretazione, paradossale, quasi assurdo.
Eppure, uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science dalla University of California, Santa Barbara e dalla University of British Columbia ci dice che a quanto pare l’assurdo, in letteratura, stimola il nostro cervello, e che la nostra capacità di trovare schemi e connessioni nascoste aumenta quando ci troviamo di fronte al compito di dare un senso a una storia surreale.
Nello specifico lo studio si è svolto facendo leggere a 40 partecipanti (tutti studenti universitari canadesi) due versioni di Un medico condotto, differenti tra loro per alcuni dettagli rilevanti. Il risultato suggerisce che i meccanismi cognitivi responsabili dell’apprendimento implicito sono più sviluppati quando ci sforziamo di trovare un significato a una narrazione frammentata.
Tuttavia (e te pareva), come obbligato corollario parrebbe che questo effetto si “attivi” solo con libri di un certo livello, alta letteratura per intenderci, la crème de la crème, e non frivoli divertissement come quelli che sono abituato a leggere.
E quindi niente, anche qui l’ennesima fregatura, sono destinato a lasciare le sinapsi in letargo, i gangli cranici dissociati tra loro, in congedo lavorativo.
Sembra venirmi incontro (fortunatamente) un vecchio libricino scritto da Roberto Calasso e intitolato Come ordinare una biblioteca, in cui si possono trovare diversi aneddoti e osservazioni interessanti. Ne scelgo una a caso:
È il momento di dire qualche parola in difesa del leggere brado. E contro quei tanti che si fanno un punto d’onore di leggere solo da un certo livello (altissimo) in su. Tediosissima genia. […] I libracci si distribuiscono equamente fra tutti i generi: occultismo, romanzi, archeologia, molto Egitto, pornografia, parapsicologia, memorialistica, tarocchi, gialli. Ma è inutile allargare la lista: nessun genere si nega, in linea di principio, al libraccio. E tutti i libracci sono, in linea di principio, pezzi rari.
Bene. Non so cosa ne pensiate voi, ma a questo punto credo di sentirmi a posto con la coscienza. Posso tornare tranquillo ai miei libracci.
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Ad esempio qui parlo della sempre maggiore diffusione di storie vere, di un’intervista andata male e di un dilemma filosofico sulla possibilità di scegliere fra realtà o finzione;
Mentre qui racconto una storia sul potere delle parole, ambientata in Messico e che ha per protagonisti Hernán Cortés e la Malinche.
Franz Kafka, La metamorfosi, Feltrinelli, 2022, pagg. 280-81.
Guarda, io sui libracci ci scriverò la prossima newsletter! Perché va bene l'alta letteratura, i premi, gli autori etc etc...ma qui bisogna sdoganare la libertà anche in ambito letterario!
Evviva i libracci! E sulla burocrazia, ti sono davvero solidale, è un disastro (per non dire di peggio).