Ballo ballo ballo da capogiro
Con il suo ultimo libro, Raving, McKenzie Wark ci porta dentro il lato nascosto di New York, dalla musica techno ai rave illegali nei junkspace della città.
Quale uomo non sarebbe un ballerino se potesse, disse il giudice. È una gran cosa, la danza. (Cormac McCarthy, Meridiano di Sangue)
Da quando ho un ginocchio (semi-) nuovo la mia vita ha ripreso a scorrere più serenamente. Ad esempio, ho ricominciato a fare quelle piccole cose che mi rendono felice come andare a giocare a basket o partecipare alle lezioni di lindy hop e swing a Villa Celimontana il martedì sera. Mi piace la musica (tutta), e ancora di più ballare, percepire il tempo, l’energia e il sudore che sprigiona dai corpi in movimento. Sarà per questo – o banalmente perché non avevo nulla da fare – che venerdì scorso mi sono fatto convincere ad andare alle Cave di Tufo di Tor Cervara ad ascoltare il dj set di Ellen Allien.
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Sono un grande fan dei concerti di musica techno, sebbene non li frequenti con l’assiduità che vorrei. Mi piace l’atmosfera, mi piace la gente, mi piace il palcoscenico da situazione costruita1, la cassa che non scende sotto i 140 bpm, martellante, e che lentamente ti penetra nel cervello come una sostanza liquida, astraendoti dal mondo esterno. Siamo i cultori di un rito liturgico a cui partecipiamo insieme celebrando una ripetitività (quella della musica e dei suoi beat) che ci trasporta in uno stato di dissociazione parziale.
Un’arte che viene da lontano
Che poi la danza abbia poteri dissociativi non è cosa nuova. In molte società del passato, come quelle del mondo classico, la danza permetteva attraverso rituali e coreografie ben precise di alienarsi per brevi periodi dalla propria condizione terrena. Nel suo saggio sul menadismo pubblicato nel 1940, e riproposto fra le pagine de I Greci e l’irrazionale, Eric Dodds insiste molto sul carattere trascendentale della danza:
La potenza della danza è una potenza pericolosa; come negli altri casi in cui ci si abbandona a se stessi, è più facile cominciare che fermarsi. […] La danza è contagiosa; come osserva Penteo nelle Baccanti, v. 778, si espande con la forza di un incendio. Il desiderio di ballare si impadronisce della persona senza che la mente coscientemente vi consenta.
Tuttavia, seppure simili a oggi nel bisogno che cercavano di soddisfare, questi riti nascevano da un contesto diverso, preindustriale. La techno moderna inaugura una situazione altra, che si ottiene sfruttando il suono del capitalismo per distruggere l’economia del gusto, adoperando le macchine che producono i suoni per creare un tempo queer, un tempo trans.
Dissociazione come pratica
Di techno e di nuove possibilità sonore e temporali, ne parla nel suo ultimo libro, intitolato Raving e pubblicato da Nero Editions, McKenzie Wark, tra le altre cose teorica di media e studi culturali, la quale si addentra attraverso un flusso di coscienza fumoso e onirico nel mondo newyorkese dei rave party, sprofondando tra droghe e allucinazioni sensoriali nella società queer e trans che quei luoghi frequenta e a cui lei stessa appartiene:
La prima cosa che cerco in un rave: chi ne ha bisogno e, tra coloro che ne hanno bisogno, chi riesce a gestirsi questo bisogno?
I rave rispondono a molti bisogni, interessi, desideri (anche se poi, dice lei, la questione è assumere il controllo: dello spazio, delle macchine, della chimica). E per McKenzie uno dei bisogni fondamentali è raggiungere quello che chiama stato di dissociazione, di cui vuole salvare molti aspetti dal lessico critico della psichiatria:
Le persone trans non sono le uniche a dissociarsi – ma spesso lo facciamo molto bene. Siamo un tipo di persone che non hanno bisogno di stare in un corpo o nel mondo. Il corpo sembra sbagliato. Il mondo ci tratta come se fossimo sbagliate. La dissociazione può essere debilitante. Ma a volte non lo è.
Uno dei modi per raggiungere questo stato di dissociazione è per McKenzie proprio la musica techno:
La mia teoria è che la techno sia una musica, o meglio una tecnologia sonica, fatta per gli alieni. Essendo per gli alieni, è un suono che non accoglie alcun corpo umano più di altri. Quindi, questo corpo può trovare appartenenza nella techno, ballandola.
Così attraverso la musica, proprio come ai tempi del menadismo, è possibile scivolare e dimenarsi sotto il palco, perdere la consapevolezza del proprio cervello e del proprio corpo, astrarsi e dissociarsi dall’Io:
Sentirci libere da un mondo che ci odia, ci offende, ci fraintende: è quasi impossibile, persino a New York. Un bel rave, in una bella serata – qui sento che il mio corpo non è un’anomalia, o meglio: non è l’unica anomalia. Una distribuzione di anomalie senza regola, anomale solo le une per le altre.
Dimenticarsi di sé
In quello che McKenzie chiama rave-continuum (dove tutti i rave – del passato, del presente e del futuro – convergono in una sorta di ripiegamento spazio-temporale), il tempo interrompe la sua consistenza naturale (nel senso occidentale/capitalistico del termine) per dilatarsi orizzontalmente in un tempo-k2, un tempo dissociativo, un tempo transessuale, un tempo ketaminico, vissuto con la speranza di dimenticarsi, per un breve momento, di sé:
per un paio di beat, o un migliaio, io non sono. Non sono qui. Non sono da nessuna parte. Dove solitamente ci sono io, con tutte le ansie e i pensieri galoppanti e il senno di poi, c’è solo carne felice, che pompa e ondeggia, agganciata soltanto alla gravità. Un corpo trans che si accasa nel proprio estraniamento, che perde se stesso nei beat alieni, nella xeno-carne. Questo corpo che non balla particolarmente bene ma ama lasciarsi spazzare dall’onda.
Dissolvenza incrociata, altrove nel continuum. Le luci stroboscopiche e multicolore illuminano le cave di questa notte romana umida e come succede da un po’ particolarmente calda. Sono arrivato presto (è appena mezzanotte) ma già i bassi rimbombano dalle casse riempiendo il vuoto tufaceo di vibrazioni alchemiche. Chiudo gli occhi, inspirando e assaporando l’aria, lentamente, e mi preparo a lasciarmi andare. Solo un attimo, solo un po’.
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Ad esempio qui incontro uno scrittore perduto in Amazzonia, scoprendo per puro caso un utile decalogo, quello del perfetto scrittore di racconti;
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“Una situazione è il luogo in cui l’agentività incontra forme concrete che plasmano la sua espressione. Una situazione costruita conferisce una certa intenzione al modo in cui l’agentività può esprimere la propria volontarietà, il proprio bisogno” (McKenzie Wark, Raving).
Il K-hole è la sensazione che si prova quando si assume una dose di ketamina sufficientemente alta da sperimentare uno stato di dissociazione. Questo intenso distacco dalla realtà è spesso conseguenza di un consumo eccessivo e accidentale; tuttavia, alcuni consumatori cercano consapevolmente il k-hole perché trovano i potenti effetti dissociativi piuttosto piacevoli e illuminanti.
Che affascinante!