Eziologia di un libro usato
Uno scrittore perduto in Amazzonia, la ricerca di un vecchio proprietario, e un decalogo del perfetto scrittore di racconti.
Ci sono poche cose che esercitano su di me un fascino sottile e irresistibile, che mi attirano come i diversi poli di un magnete assecondandomi con le loro vaghe lusinghe, imbarazzate prima, quasi timide, infine sempre più insistenti. E no, non mi riferisco all’idea di un pomeriggio buttato sul divano a guardare vecchi episodi di Scrubs, ma al piacere (la vertigine direbbe qualcuno) che mi dà scorrere l’indice sulle costine impolverate dei libri usati.
Tipo l’altro giorno che mi chiama un amico chiedendomi di accompagnarlo in libreria per accaparrarsi il libro dell’estate. Mentre lui sbriciava per i fatti suoi, io mi aggiravo per i corridoi dell’usato in stile umarell, con le mani incrociate dietro la schiena e il passo cadenzato della salsa (un pasito adelante y uno atrás), ben intenzionato a non comprare niente ma guidato esclusivamente dalla mera curiosità del lettore.

Portate i vostri vasi e i vostri filtri, e gli incantesimi, e tutto il resto
L’ho visto quasi alla fine. Lettera Q (Narrativa). Edizione Bompiani. La copertina che mostra l’ingrandimento del piumaggio di un qualche uccello esotico, la traduzione di Ilide Carmignani, il titolo di qualche punto più grande del nome dell’autore: Horacio Quiroga, Gli esiliati. L’ho preso e rigirato tra le mani, passando i polpastrelli sulla carta satinata in cerca di qualche segno che testimoniasse l’esistenza del suo precedente proprietario – una dedica, un’orecchia, una sottolineatura.
È stato solo una volta tornato a casa che ciò che avevo visto ha cominciato a ronzarmi nel cervello, mettendo in moto la sua malia seducente. E così le piume dell’uccello in copertina – verdi, brillanti, simmetriche – mi evocavano mondi lontani, come l’Amazzonia e le sue foreste, e quindi liane, alberi altissimi dalle chiome spesse, bestie feroci e fiumi interminabili, le fotografie di Salgado, Fitzcarraldo che issa una nave sulla cima di una montagna, Aguirre alla volta di El Dorado.
E c’era poi la traduzione, che mi riportava subito ai racconti di Bolaño, ai deserti del Sonora, e a tutti quei paesaggi messicani che ho visitato tante volte e non riesco a dimenticare. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che sono un 7 e che il mio tipo ideale nell’Enneagramma è quello del viaggiatore, be’, allora potreste aver già indovinato cosa ho fatto nei minuti immediatamente successivi.
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Il Cuentista della selva
Che poi, almeno a giudicare dalla vita che ha vissuto, credo che anche Quiroga fosse un 7. Perché a venticinque anni (era il 1903) “parte da Buenos Aires per Misiones, remota distesa di foresta pluviale nel Nordest dell’Argentina, al confine con Brasile e Uruguay”, per unirsi alla missione di tale Leopoldo Lugones, “incaricato dal ministero della Pubblica Istruzione di studiare le rovine gesuitiche di San Ignacio e verificarne lo stato di conservazione”.
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E non andarsene più. Quei luoghi selvaggi – «un paesaggio dell’era primaria, che ruggiva d’acqua, di uragani e di forze scatenate» –, inghiottiti dalla selva e raggiungibili solo a dorso di mulo, gli sono ormai entrati nell’anima. Luoghi da fine-mondo, infiniti e disperati, talmente estremi da poter ospitare esclusivamente personalità di uguale sorta, gli esiliati, i «tipi pittoreschi» che popolano questi racconti dove le leggi dell’uomo rimangono sullo sfondo come un vago ricordo.
Una lista a sorpresa
E così, accaldato e soddisfatto, tenevo il libro fra le mani, sdraiato sul divano, sfogliandolo a caso per leggere qualche riga qua e là e cercare un indizio qualsiasi che mi permettesse di immaginare l’identità del suo precedente proprietario: era un tipo come me? O forse uno che legge solo libri gialli? E perché l’ha dato via? Magari un regalo non gradito? Per fare spazio in libreria? Per bisogno di soldi?
È stato quindi solo per puro caso se mi sono imbattuto prima del tempo nell’appendice finale, una breve lista redatta da Quiroga stesso e intitolata “Decalogo del perfetto cuentista”1, con la quale penso valga la pena chiudere questa newsletter:
I
Credi in un maestro – Poe, Maupassant, Kipling, Čechov – come in Dio
stesso.
II
Considera la sua arte una vetta irraggiungibile. Non sognare di
conquistarla. Quando sarai in grado, lo farai senza nemmeno rendertene
conto.
III
Resisti il più possibile all’imitazione ma, se l’influsso è troppo forte,
imita. Lo sviluppo della personalità è, più di qualsiasi altra cosa, frutto di
estrema pazienza.
IV
Abbi fede cieca non nelle tue capacità di successo, ma nell’ardore con
cui lo desideri. Ama la tua arte come la tua fidanzata, con tutto il cuore.
V
Non cominciare a scrivere senza sapere fin dalla prima parola dove stai
andando. In un racconto ben riuscito, le prime tre righe hanno quasi la
stessa importanza delle ultime tre.
VI
Se vuoi esprimere con esattezza questa circostanza: “Dal fiume soffiava
un vento freddo”, non esistono in alcuna lingua al mondo altre parole che
quelle. Una volta padrone delle parole, non preoccuparti di consonanze o
assonanze.
VII
Non aggettivare senza bisogno. È inutile attaccare code colorate a un
sostantivo debole. Se trovi quello giusto, avrà da solo un colore
incomparabile. Ma va trovato.
VIII
Prendi per mano i tuoi personaggi e conducili con fermezza fino alla
fine, senza guardare altro che la strada che hai tracciato per loro. Non ti
distrarre guardando tu ciò che loro non possono o non si curano di guardare.
Non abusare del lettore. Un racconto è un romanzo depurato di pleonasmi.
Considerala una verità assoluta, benché non lo sia.
IX
Non scrivere quando sei in preda all’emozione. Lasciala morire e poi
rievocala. Se sarai capace di riviverla appieno, sarai a metà strada sul
cammino dell’arte.
X
Quando scrivi, non pensare ai tuoi amici, né all’impressione che farà la
storia. Procedi come se il racconto rivestisse interesse solo per il piccolo
mondo dei tuoi personaggi, di cui potresti aver fatto parte. Non vi è altro
modo di rendere vivo il racconto.
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Ad esempio qui parlo di meritocrazia, una parola che nasce all’interno di una critica a un sistema selettivo di educazione e all’egemonia culturale e politica esercitata da determinate classi dominanti;
Mentre qui racconto un unicum botanico, quello del fico, pianta dalle tendenze sessuali decisamente queer: c’entra una vespa e un brutale incesto.
scrittore di racconti.
Non ho abbastanza pelle sul corpo per tatuarmi tutto il decalogo, ma secondo me questa frase vale per tutto nella vita: "Abbi fede cieca non nelle tue capacità di successo, ma nell’ardore con cui lo desideri". Meravigliosa. Grazie, è inutile credo dirti che vado subito a comprare questo libro 😂
Non conoscevo Quiroga, grazie per averlo fatto emergere e per il suo decalogo: i punti VI e VII mi sono tanto cari.