E tu, come scrivi?
Trent'anni dopo la prima edizione torna in libreria "Scrivere è un tic", un libricino ormai diventato di culto targato Francesco Piccolo.
“Bisogna diffidare di tutto quello che assomiglia all’ispirazione” (G. Flaubert, Lettere a Louise Colet)
In una newsletter di due settimane fa ho parlato tra le altre cose di Franz Kafka, del centenario della sua morte, e di come uno dei suoi racconti (Un medico condotto) sia stato utilizzato dalla University of California, Santa Barbara e dalla University of British Columbia per presentare uno studio secondo il quale la letteratura dell’assurdo stimolerebbe il nostro cervello, aumentando la nostra capacità di trovare schemi e connessioni nascoste.
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Scrivere per Kafka era una questione di ritmo. Parlando con Felice Bauer – prima storica fidanzata – della lunga gestazione che affligge La metamorfosi si lamenta perché a suo dire:
Una storia simile andrebbe scritta, con una interruzione al massimo, in due periodi di 10 ore, allora avrebbe il ritmo e l’impeto che le sono naturali, e che domenica scorsa essa aveva nella mia testa.
Solo una storia scritta di getto può restituire determinate sensazioni, i nervi fibrillanti, i bulbi piliferi eccitati, una gioia quasi ferina nel vedere l’inchiostro sparso sulla pagina. In una straordinaria lettera scritta sempre a Felice possiamo “toccare” con mano il tremolio concitato delle parole, il brivido selvaggio dello scrittore. Il soggetto è in questo caso Il verdetto, uno dei suoi racconti più famosi:
Questa storia l’ho scritta di getto nella notte fra il 22 e il 23 [settembre 1912] dalle 10 alle 6 di mattina. Poi non riuscivo più a tirare fuori dal tavolo le gambe divenute rigide per essere rimasto tanto tempo a sedere. La spaventosa fatica e gioia di fronte alla storia che mi si dispiegava dinanzi, di fronte a me che avanzavo come dentro un’acqua. Più volte questa notte ho portato tutto il mio peso sul dorso. Come tutto può essere osato, come per tutte le idee, anche le più remote, è pronto un grande fuoco in cui esse muoiono e risorgono. Il cielo che diventava azzurro davanti alle finestre. Una vettura che passava. Due uomini che attraversavano il ponte. Alle due ho guardato l’orologio per l’ultima volta. Spenta la lampada e luce del giorno. I leggeri dolori al cuore. La stanchezza che se ne andava a metà della notte. […] Solo così si può scrivere, solo in una tale connessione di tutte le parti, con una tale assoluta apertura del corpo e dell’anima.
Ma Kafka non fu il solo ossessionato dal ritmo. Julio Cortázar amava ad esempio lavorare sotto l’influsso ipnotico del jazz (come dimenticare il bellissimo racconto Il persecutore dedicato a Charlie Parker), tanto che musicisti come Duke Ellington, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Jelly Roll Morton sono parte integrante dei diversi quadri parigini di Rayuela, formandone l’onnipresente colonna sonora:
Perché scrivo questo? Non posseggo idee chiare, e neppure posseggo delle idee. Ci sono dei brandelli, degli impulsi, dei blocchi, e tutto cerca una forma, allora entra in gioco il ritmo e io scrivo entro quel ritmo, scrivo tramite esso, mosso da esso […] C’è innanzi tutto uno stato di confusione […] da quella penombra io parto, e se ciò che voglio dire (se ciò vuole dirsi) possiede sufficiente forza, immediatamente ha inizio lo swing, un dondolio ritmico che mi trae in superficie, illumina tutto, coniuga quella materia confusa…
Di ritmo parla anche Francesco Piccolo in un libricino delizioso ripubblicato recentemente da Einaudi e intitolato Scrivere è un tic, in cui sono raccolti tanti piccoli aneddoti pettegolezzi e curiosità legati a scrittori del passato e all’arte dello scrivere in generale. Leggo per esempio che Attilio Bertolucci tutte le mattine faceva una lunga passeggiata con un quaderno in mano, tra i boschi dell’Appennino, cercando di scrivere seguendo il ritmo del camminare. Oppure che Bruce Chatwin diceva a proposito di Mandel'štam che:
riusciva a comporre soltanto in movimento. Doveva camminare, mentre stava componendo un poema. Era convinto che la formazione delle parole nella laringe dipendesse dal movimento del piede.
La ricerca del ritmo si inserisce secondo Francesco Piccolo all’interno di una ricerca più complessa, quella del metodo, strumento essenziale per evitare di cadere nel cliché ben espresso da Ian McEwan per cui:
Se credi al mito romantico secondo cui il poeta è colui che va a dormire alle cinque di mattina, sbronzo, portandosi a letto simultaneamente cinque donne, tutto puoi fare meno che scrivere.
Avere un metodo (e seguirlo) è esattamente il contrario che credere nell’ispirazione momentanea, come sostenuto da Octavia Butler ma anche da Flaubert:
Bisogna diffidare di tutto quello che assomiglia all’ispirazione e che spesso non è che partito preso e un’esaltazione fittizia che si è autoimposta e che non è venuta da sola. D’altra parte non si vive nell’ispirazione. […] Bisogna leggere, meditare molto, pensare sempre allo stile e scrivere il meno possibile.
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Apparentemente scrivere conserva le stesse caratteristiche di una ricetta culinaria – “Tre o quattro once di realtà e tutto il resto affidato all’immaginazione” diceva Robert Ludlum –, la cui riuscita non può prescindere da due ingredienti fondamentali: autodisciplina e, appunto, metodo. Ogni scrittore ha il suo, costruito e cesellato nel tempo per far sì che si adatti il meglio possibile alle proprie abitudini e idiosincrasie. Tra i più curiosi c’è quello di Ernest Hemingway che interrompeva il lavoro solo quando era sicuro di sapere come continuare il giorno dopo:
Avevo già imparato a non vuotare mai il pozzo della mia fantasia, ma a fermarmi sempre quando c’era ancora qualcosa, là in fondo, e a lasciare che tornasse a riempirsi durante la notte con l’acqua delle sorgenti che lo alimentavano.
Una lezione ben assimilata da Gabriel García Márquez per il quale:
il lavoro di ogni giorno deve interrompersi solo quando già si sa come ricomincerà il giorno dopo.
C’è poi il discorso degli orari. Dostoevskij scriveva giorno e notte, mentre T.S. Eliot era solito ritagliarsi un piccolo spazio dalle dieci all’una:
Ho scoperto che più di tre ore non serve. Al massimo ripulisco. Quando mi sono provato ad allungare le tre ore, non ho mai prodotto cose soddisfacenti. Meglio piantarla lì e fare qualcosa di molto diverso.
Alberto Moravia ha scritto per tutta la sua vita esclusivamente la mattina, dedicando poi il pomeriggio al lavoro giornalistico, mentre Cynthia Ozick scrive solo di notte perché:
il mondo se ne va intorno mezzanotte. Il telefono smette di suonare. Si è quieti: durante le ore notturne non c’è nessuno a disturbarti e non ci si sente responsabili di nessuno.
Come nota Francesco Piccolo però, c’è un dettaglio che sembrano avere in comune tutti questi scrittori, qualcosa che salta immediatamente agl’occhi e di cui non è possibile fare a meno: si può infatti scrivere per dieci o tre ore, forse anche per una sola ora, la notte o il giorno, col sole o la pioggia, ma ciò che è veramente importante è scrivere tutti i giorni.
Sembra questa la vera preoccupazione degli scrittori e il loro mezzo per non lasciare andare via la scrittura come se fosse qualcosa di istintivo e di incontrollabile; l’unico modo per tenerla sempre sotto controllo.
E tu, come scrivi?
Se hai qualche curiosità che vuoi condividere sul metodo o sui piccoli rituali che usi mentre scrivi fammelo sapere nei commenti, mi piacerebbe raccogliere diverse testimonianze e magari parlarne in uno dei prossimi numeri per fare una versione Substack di Scrivere è un tic.
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Premessa: da autrice di una newsletter che si intitola "Cosa leggi?" non posso che amare il titolo "Come scrivi?" - c'è del genio.
Mia personalissima risposta alla domanda: io riesco a scrivere solo se so che tutto il resto è a posto (cosa ci sia dentro quel "tutto il resto" varia di volta in volta), preferibilmente non oltre le 16 (orario in cui inizio ad accusare la sveglia alle 6) e mai più di 2/3 volte alla settimana, con necessarie settimane di stop tra scritture varie. Per me la scrittura è un sentire, che è diverso dall'ispirazione. Se lo sento, riesco a scriverlo. Sta a metà tra un pensiero appollaiato nel retro-cranio e un'idea vera e propria. E come tutto ha un ciclo di vita: nasce, cresce, si esprime e poi scivola via. (ah che bella questa domanda, potrei continuare all'infinito!).
Davvero interessante questa puntata! Io ho un difetto enorme: per sentirmi in pace e mettermi a scrivere (anni fa scrivevo racconti e mi manca un sacco, ora mi dedico al blog e a alla newsletter) devo avere a posto tutte le altre cose "pratiche" della vita (pulizie, spesa, cucina ecc ecc) e questo ovviamente fa sì che arrivi stremata al momento di scrivere. Mi sto impegnando per ritagliarmi una routine e dare più importanza alla scrittura e meno a tutto il resto. E poi, voglio ricominciare a scrivere narrativa, mi manca tantissimo! Chissà che questo libro non mi dia l'input giusto, anche se vorrei avere anche un briciolino del talento che avevano/hanno gli scrittori/scrittrici citati!